Cronologia della Storia di Ceva
			
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				| Vista del Forte di Ceva dalle alture verso Torresina. | 
			
			
				La zona di Ceva fu abitata nell'antichità da vari popoli e tribù: Liguri, Bagienni, Ingauni, Stazielli, 
				Galli Cispadani ecc.. L'assoggettamento ai Romani, avvenne sul principio del II secolo a. C. e di ciò si 
				hanno notizie da Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia (libro XI cap. 97) che parla del formaggio locale 
				(caseo ... Cebanum ... ovium maxime lactis ...) e da Columella che cita una particolare razza bovina 
				denominata Ceva (... regionis incolae Cevas appellant ...) nel De re rustica (libro VI cap. 24). 
				Ceva probabilmente non fu mai un Municipio Romano poiché gli abitanti di questi posti erano annoverati 
				nella tribù Publilia, sotto la giurisdizione di Albenga (Albingaunum). Dell'epoca romana di Ceva è 
				rimasto soltanto il nome, in quanto le invasioni  dei barbari e poi quelle dei saraceni hanno distrutto questa 
				zona ed ogni genere di vestigia e documenti scritti.
				Nell'XI secolo alcune carte degli Arduinici ascrivevano Ceva nella loro marca. Nel medioevo fu la sede di un marchesato 
				aleramico fondato da Anselmo II, figlio di Bonifacio del Vasto. Inizialmente i Ceva furono feudatari di oltre quaranta 
				borghi, molti dei quali con castello. Il marchesato ebbe i momenti più floridi dal XII al XIV secolo, periodo in 
				cui Giorgio II detto il Nano, dopo aver conquistato Mondovì per il Vescovo d'Asti, dovette cedergli il 
				marchesato stesso per poi esserne reinvestito. Ceva passò in seguito ai Visconti nel 1351 e agli Orléans 
				nel 1387. Dal 1422 fu assoggettata al dominio di Milano, a quello della Francia e poi della Spagna, finché nel 
				1559 i Savoia ne entrarono in possesso. I marchesi Ceva vennero destituiti e fu insignito del marchesato Giulio Cesare 
				Pallavicino.
				Ceva per molto tempo fu difesa da una Fortezza, baluardo militare dello Stato Sabaudo, in posizione strategica 
				sulla Rocca. 
				Durante la prima campagna napoleonica d'Italia, il generale Francesco Bruno di Tornaforte, governatore del Forte, 
				resistette alle milizie di Bonaparte e si arrese solo dopo l'armistizio di Cherasco, per effetto del quale anche 
				Ceva passava ai Francesi. Questi furono cacciati da un'insurrezione popolare nel maggio del 1799. Napoleone, 
				nel 1800, ordinò di distruggere il Forte per l'affronto subito.
				Alla fine dell'Ottocento il miglioramento del sistema stradale e la costruzione della rete ferroviaria favorirono 
				lo sviluppo industriale, in particolar modo nel settore tessile (Cotonificio, filande e filatoi). Purtroppo la Grande 
				Guerra portò ad una recessione del paese e molti cebani perirono al fronte. Durante la seconda guerra mondiale 
				Ceva fu occupata dai tedeschi e bombardata dagli alleati. Anche questo conflitto chiese molti sacrifici alla gente del 
				posto. Molti perirono o furono dispersi nella campagna di Russia. La Città seppe risollevarsi in fretta, con 
				un'accentuata espansione urbanistica al di fuori della zona un tempo delimitata dalla cinta muraria. Divenne un 
				polo artigianale, commerciale e di servizi di rilievo, incrementando la sua importanza come nodo del traffico viario di 
				collegamento con la Liguria. Nei secoli, a causa della sua posizione geografica, fu più volte oggetto di eventi 
				alluvionali. Nella memoria dei cittadini è ancora ben impressa l'alluvione del 1994 che arrecò 
				molti danni.
				Ceva, nonostante i periodi di difficoltà, le distruzioni ad opera dell'uomo o della natura e i 
				periodi di crisi economica che spingono i giovani a cercare lavoro fuori dai suoi confini, continua comunque 
				imperterrita ad andare avanti, accettando le sfide del XXI secolo.				
			
			
									
			Cronologia del XIX secolo
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        Nelle condizioni dettate da Napoleone, dopo la vittoriosa battaglia di Marengo del 14 giugno 1800
        durante la seconda Campagna d’Italia, vi fu anche quella della distruzione del Forte di Ceva, 
        che, data la sua posizione strategica, costituiva un costante pericolo e soprattutto perché, 
        nonostante i ripetuti precedenti tentativi fatti dalle truppe repubblicane, non poterono mai conquistarlo. 
        Si prepararono le mine e l’anno successivo furono fatte brillare e della vecchia gloriosa 
        fortezza non restarono che pochi ruderi.
 
 
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        Tragicamente eccezionale fu il numero dei morti nell’anno 1800. Se ne registrarono 614, 
        soprattutto a causa del continuo transito e stanziarsi di soldatesche che propagavano morbi contagiosi.
        
 
 
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        Nel 1802 il governo rivoluzionario francese impose la soppressione degli Ordini Regolari in Piemonte
        per cui i Cappuccini dovettero abbandonare il loro convento, che fu convertito in abitazione per le
        orfane dell’Ospizio di Carità. La chiesa rimase deserta fino al 1816 quando, 
        tramontata l’era napoleonica l’anno precedente, i monaci poterono far ritorno.
        
 
 
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        Nel 1804, quando Napoleone venne proclamato imperatore di Francia, il riordinamento dei territori 
        dell’impero vide  Ceva compresa nel dipartimento di Montenotte e nominata sotto prefettura 
        dipendente da Savona, con un tribunale di prima istanza. 
        Nel circondario della vice prefettura di Ceva erano compresi cinquantacinque comuni, 
        divisi in quindici cantoni.
 
 
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        Il 13 maggio 1804 il Duomo venne consacrato e dedicato all’Assunta da monsignor Giovanni 
        Battista Pio Vitale, vescovo di Alba ed anche il nuovo altare maggiore, 
        costruito a spese dell’abate Alessandro Rovelli.
 
 
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        Nel 1806 ai Frati Minori Conventuali toccò la stessa sorte dei Cappuccini. 
        Il convento di san Francesco venne chiuso e nei suoi ampi spazi, assegnati in proprietà 
        al Comune, vennero collocate le scuole governative. A differenza dell’altro monastero, 
        questo non venne mai più ripristinato.
 
 
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        Nel 1807 il governo francese soppresse le Collegiate. I redditi e le prebende di quella di 
        Ceva furono assegnate alla parrocchia ed alla fabbrica del Duomo, con decreto imperiale.
        
 
 
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        Il 16 agosto 1809, papa Pio VII, prigioniero dei francesi, sostò alcune ore a Ceva 
        nel suo viaggio di trasferimento da Grenoble a Savona. Fu accolto nel palazzo dell’avvocato 
        Antonino Moretti e da un balcone della casa impartì la benedizione papale ai
        cebani che assiepavano la piazza Maggiore.
 
 
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        L’editto napoleonico sui cimiteri, detto di Saint Cloud, esteso a tutti i territori s
        otto l’amministrazione francese, prevedeva la dislocazione periferica degli stessi per 
        questioni di igiene. In funzione di ciò, nel dicembre 1809, il Comune acquisì 
        alcuni terreni appartenuti all’ex convento di Sant’Agostino per trasferirvi il 
        camposanto urbano, fino ad allora ubicato in fondo al borgo Sottano nei pressi del ponte 
        della Catalana.
 
 
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        Nel 1818, con la sistemazione della strada che portava al cimitero, si diede inizio ad una serie 
        di interventi nella zona del Brolio, fino ad allora boschiva o utilizzata per orti e pascoli, 
        che, nei decenni successivi con un opportuno piano regolatore, portò alla creazione di 
        viali e giardini, rendendo l’intera area un accogliente luogo di passeggio, 
        ricreazione e ritrovo per i cebani.
 
 
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        Nel 1821 ben ventisette cebani furono coinvolti a vario titolo ed indagati per i moti 
        rivoluzionari che anticiparono l’epopea risorgimentale. 
        Tra questi il canonico Pio Bocca, il conte Lodovico Sauli d’Igliano e lo 
        scrittore Amedeo Ravina.
 
 
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        In seguito al ricorso inoltrato dalla civica amministrazione già nel 1815, 
        con regio decreto del 7 settembre 1822 venne ristabilita la Collegiata con la 
        condizione che  i canonicati dai precedenti dodici passassero a dieci. 
        Con l’istituzione di due nuovi sarebbero poi tornati ad essere 
        dodici nel 1836.
 
 
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        Tra il 1825 ed  il 1826, anche con il contributo dell’amministrazione civica, 
        vennero ultimati i lavori per il definitivo assetto del campanile del Duomo, 
        iniziati nel 1821.
 
 
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        Nel 1826, essendo le scuole molto frequentate anche da allievi provenienti da 
        fuori città, il Comune aprì un Collegio-Convitto in un locale 
        attiguo che poté essere costantemente operativo grazie alle 
        elargizioni del filantropo canonico Pio Bocca.
 
 
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        Il 14 aprile 1830 su iniziativa dell’arciprete Giovanni Olivero e 
        del sindaco in carica Giuseppe Maria Rebaudengo venne istituita l’Accademia 
        di musica della Città di Ceva per l’insegnamento sia del canto che 
        degli strumenti a corda ed a fiato. Il primo direttore fu il professor 
        Luigi Caffarena.
 
 
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        Nel 1834, gli abitanti del borgo della Torretta furono autorizzati dal Comune 
        alla costruzione di una passerella in legno sul Tanaro, che fosse però 
        esente da pedaggio, in modo da consentire l’attraversamento del fiume 
        nelle adiacenze del borgo medesimo che fin dal 1331 era stato possibile 
        solo con l’uso di piccole imbarcazioni, quando l’antico ponte 
        venne distrutto da un alluvione.
 
 
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        Nel mese di agosto del 1835, dopo aver negli anni precedenti serpeggiato per 
        tutta l’Europa proveniente dall’Indostan, si manifestò 
        anche a Ceva il terribile morbo del colera. 
        Ne venne colpita per prima una lavorante della filanda Siccardi. 
        Fortunatamente l’epidemia permase soltanto per due settimane, mietendo 
        comunque ventiquattro vittime, tra cui un frate cappuccino che assisteva i 
        malati al lazzaretto, il capo infermiere di questo con tutta la sua famiglia 
        ed il becchino del cimitero.
 
 
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        Nel 1838, abbisognando l’Ospedale di più ampi spazi per la cura 
        degli infermi e non potendo il Pio Istituto delle scuole sopperire a tutte 
        le spese che derivavano dalla gestione del fabbricato dell’ex convento dei 
        Francescani, ove era ubicato il Collegio-Convitto, il sindaco Carlo Marenco 
        e l’arciprete Olivero, presidente dell’Ospedale, iniziarono una trattativa 
        per pervenire allo scambio delle sedi delle due istituzioni che avrebbe apportato 
        beneficio per entrambe. 
        Ciò fu formalizzato con atto notarile del 22 dicembre 1840.
 
 
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        Il 15 ottobre 1839, ingrossato dalle acque degli affluenti Salizzola, Recurezzo e Bovina,
        il Cevetta allagò la contrada Sparezza ed il Borgo inferiore arrecando gravi danni.
        
 
 
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        In conseguenza dell’evento alluvionale e per preservare la città da eventuali 
        calamità future, il sindaco Carlo Marenco propose al Consiglio comunale un progetto 
        ardito che consisteva nella modifica dell’alveo del Cevetta, all’altezza 
        del cosiddetto ponte rosso (a monte del convento dei Cappuccini), immettendo 
        le sue acque nel torrente Bovina. Il taglio del Cevetta, come venne chiamato, 
        avrebbe altresì consentito una discreta espansione urbana sui terreni 
        liberati dal suo percorso. Una serie di circostanze sfavorevoli, 
        opposizioni varie di privati ed in consiglio comunale, lungaggini burocratiche e 
        difficoltà progettuali, penuria di fondi e, non da ultime, il trasferimento a 
        Savona del Marenco e la sua prematura scomparsa nel 1846, fecero però 
        abbandonare definitivamente ogni intendimento per questo intervento.
 
 
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        Un altro evento funesto accadde il 1° dicembre 1839: a causa delle infiltrazioni 
        dell’acqua piovana che cadeva da diversi giorni, il bastione che cingeva ad oriente 
        il castello dei Pallavicino, già fessurato, crollò sopra le case del borgo 
        sottostante sotterrandole per quasi cinque metri e uccidendo nove persone.
 
 
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        Nel novembre del 1841 venne terminato il rifacimento della pavimentazione sotto le arcate 
        dei portici maggiori di via delle Volte (ora via Carlo Marenco).
        I lavori consistettero nella formazione di un lastricato di losoni di pietra di 
        notevole spessore. La spesa fu equamente divisa tra i proprietari degli immobili 
        e la civica amministrazione. Si diede così un nuovo e più elegante 
        aspetto alla via principale della città, migliorando nel contempo l’
        accesso ai numerosi negozi. Negli anni immediatamente successivi identica soluzione 
        venne adottata per i portici minori.
 
 
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        Nella primavera del 1842, con il contributo dell’amministrazione comunale, 
        furono portati a termine i lavori per la nuova gradinata del Duomo, 
        realizzata in marmo chiaro di Garessio.
 
 
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        Nello stesso anno, a cura della Compagnia del Suffragio, prese il via la costruzione 
        della chiesa di sant’Agostino presso il cimitero urbano.
 
 
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        Sempre nel 1842 ad Angers (Francia) venne pubblicato postumo il poema in prosa Gaspard 
        de la Nuit di Aloysius Bertrand il poeta francese nato nel 1807 a Ceva da un 
        ufficiale napoleonico e da madre cebana.
 
 
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        Il 20 maggio 1843 si istituì un consorzio fra i comuni interessati delle provincie 
        di Mondovì, Alba, Oneglia e Albenga, allo scopo di aprire una strada consortile 
        che da Ceva si unisse a quella della Riviera. Dopo alcune controversie relative al 
        tracciato i lavori furono portati a termine nel 1848. La strada raggiungeva quella 
        della Riviera all’altezza della cascina Pedagera, salendo verso il Forte e 
        passando per il territorio di Roascio.
 
 
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        Il 3 novembre 1843 il Tanaro esondò per oltre un metro dai suoi argini nei 
        pressi del ponte della Catalana invadendo la strada provinciale.
 
 
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        Il 27 dicembre 1845, con la morte dell’abate Celestino Ceva di Lesegno, 
        per oltre mezzo secolo canonico penitenziere della Collegiata, 
        scomparve da Ceva ogni traccia dell’antica casata marchionale aleramica.
        
 
 
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        Nel 1848, a seguito della legge del 4 marzo di Re Carlo Alberto, in tutte le città 
        ed i paesi del Regno di Sardegna, venne attivato un corpo di milizia comunale che prese 
        il nome di Guardia Nazionale. In Ceva furono organizzate tre compagnie con il 
        coordinamento del capitano Luigi Nasi.
 
 
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        Già fin dai primi anni della seconda metà del secolo fu attiva una società 
        filodrammatica composta da dilettanti locali che recitava al piccolo teatro Bergallo in via 
        delle Volte.
 
 
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        In seno alla Guardia nazionale si formò quasi subito una piccola banda musicale,
        che negli anni immediatamente successivi ampliò e perfezionò musicalmente il suo 
        organico tanto da essere riconosciuta come Società filarmonica. Questa dette poi origine alla 
        Banda musicale cittadina che, attraverso periodiche modifiche strutturali, si mantenne attiva fino allo 
        scoppio della prima guerra mondiale.
 
 
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        Il 31 agosto 1851 venne consacrata da monsignor Giovanni Tommaso Ghilardi, vescovo di Mondovì, 
        la nuova chiesa di san Bernardino, iniziata nel 1845 ed eretta, su progetto dell’ingegnere 
        della provincia Cecchi, nelle vicinanze dell’incrocio tra le strade per la Liguria e per 
        l’Alta Val Tanaro. Fu costruita con il concorso di tanti benemeriti cittadini e 
        soprattutto dell’arciprete Olivero.
 
 
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        Nel medesimo anno, in una delle fasi di sistemazione della zona del Brolio, si realizzò 
        un’ampia spianata da utilizzarsi come piazza d’armi per gli esercizi di 
        addestramento della milizia nazionale.
 
 
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        Altra tremenda propagazione di colera asiatico sconvolse la città nel 1855. 
        In due mesi perirono settantadue persone. In questa circostanza si distinse per la sua encomiabile 
        opera, prestata gratuitamente, il dottor Sebastiano Tamagno.
 
 
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        La proposta di legge di Urbano Rattazzi, sancita da Vittorio Emanuele II il 20 maggio 1855, 
        stabilì che cessavano di esistere come enti morali i capitoli delle chiese collegiate 
        nelle città con popolazione inferiore ai ventimila abitanti. 
        Di conseguenza si assistette alla definitiva soppressione della plurisecolare 
        Collegiata di Ceva.
 
 
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        Nel luglio 1855, i giovani principi Umberto ed Amedeo di Savoia, figli del re Vittorio Emanuele II,
        soggiornarono un paio di giorni a Ceva, visitando, tra l’altro, i ruderi e 
        la cappella del Forte.
 
 
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        L’estesa coltivazione del gelso e della canapa aveva favorito da tempo l’impianto 
        di numerose filande e filatoi, tra cui si distinguevano per ampiezza e modernità 
        di macchinari quelle dei signori Siccardi, Colombo e Viglione. Questa attività dava 
        un buon impulso all’economia locale. Il municipio in tal senso fece la sua parte 
        istituendo nel 1856 un importante mercato dei bozzoli che giovò notevolmente 
        all’industria serica e tessile della città.
 
 
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        Nel 1858, pochi giorni dopo la morte dell’arciprete Giovanni Olivero, 
        avvenuta il 24 gennaio, il canonico Antonio Bosio curò la stampa, 
        presso il legatore di libri Garrone Teonesto, delle Memorie Storiche della
         Città e Marchesato di Ceva scritte  da don Olivero. 
         Il primo vero testo sulla storia di Ceva, da cui tutti gli autori successivi 
         avrebbero tratto spunto e che ancor oggi è di imprescindibile 
         riferimento per i cultori di storia locale e non.
 
 
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        Il 28 settembre 1861 venne inaugurato ufficialmente il nuovo Teatro “Carlo Marenco”,
        i cui lavori erano iniziati l’anno precedente, con la recita della tragedia
        La Pia De’ Tolomei, opera dell’illustre drammaturgo cebano a cui il teatro 
        stesso fu intitolato.
 
 
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        Il 4 agosto 1862 aprì l’Asilo Infantile al primo piano del fabbricato 
        dell’Ospizio in via Derossi. Contribuivano alle spese per il suo funzionamento 
        lo stesso Ospizio, l’Ospedale ed il Municipio.
 
 
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        Il 1° settembre 1862 fu fondata la Società di Mutuo Soccorso ed Istruzione 
        degli Operai di Ceva chiamata semplicemente Società Operaia. La sua prima 
        sede fu in una casa dell’allora contrada Sparezza (ora via Umberto I).
 
 
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        Dopo varie fasi edificatorie, già iniziate nel 1812 sotto il governo francese, 
        nel 1866 furono portati a compimento i lavori del Palazzo di Città, 
        realizzato con il fronte principale sulla piazza Maggiore, sulla base del 
        progetto definitivo redatto dall’ingegner Donato Levi di Ceva.
 
 
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        Il contributo di Ceva al Risorgimento italiano fu molto importante grazie alla
        partecipazione alle varie campagne di guerra di alcuni suoi prodi ufficiali e 
        militi. Si ricordano in particolare il generale Emilio Pallavicino, il 
        capitano Giuseppe Rebaudengo, il maggiore Tommaso Garrone, 
        il comandante dei corazzieri Stefano Degioannini, i garibaldini Donato Colombo 
        e Benedetto Rovella. Molti furono i decorati. Caddero sul campo o per conseguenze 
        di ferite riportate in battaglia: lo stesso capitano Rebaudengo, Pietro Bertino, 
        Giuseppe Eula, Pio Garrone, Giuseppe Odetto, Michele Rossi.
 
 
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        Nel 1874 fu terminato il tratto Bra-Ceva della linea ferroviaria che metteva 
        in collegamento Torino con Savona. Il 26 settembre si effettuò il viaggio 
        inaugurale e la sosta del convoglio alla stazione di Ceva, appena costruita, 
        l'evento fu festeggiato da un’immensa folla con scoppi di 
        mortaretti e con la marcia reale suonata dalla locale filarmonica.
 
 
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        Nel 1879 venne fondato il Banco di Credito Azzoaglio, importante istituto bancario 
        privato ancora oggi attivo in città e in diversi altri centri delle 
        provincie di Cuneo, Savona ed Imperia.
 
 
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        Nello stesso anno si diede inizio ai lavori di costruzione della 
        Caserma in località Brolio.
 
 
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        Con una solenne cerimonia, il 21 marzo 1881, si inaugurò la posa delle 
        fondamenta del nuovo fabbricato dell’Asilo infantile in un’area del 
        Brolio, in cui avrebbero trovato collocazione anche le scuole elementari femminili. 
        Nella stessa data, per acclamazione dei presenti, l’istituzione venne 
        intitolata al Re Umberto I. I lavori furono portati a termine nel 1884.
 
 
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        Il 1° marzo 1884 nacque una seconda associazione, ad oltre vent’anni dalla 
        Società Operaia, con scopi sociali e ricreativi, ancora oggi in piena efficienza, 
        la Società Arti, Mestieri, Agricola di Mutuo Soccorso più nota 
        come Brenta, che ebbe la sua prima sede nel borgo Luna.
 
 
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        Parallelamente a queste due società erano attive da tempo, principalmente con 
        finalità di aiuto alle persone bisognose, alcune Opere pie, nate da lasciti 
        testamentari: Piantabella, Barberis, Giogia, Rovea.
 
 
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        Nel 1885, presso la tipografia Randazzo, si iniziò la pubblicazione del settimanale 
        di informazione locale "Il Falconiere" 
        (Gazzetta di Ceva e dell'Alta Valle del Tanaro - Periodico politico, letterario, amministrativo, agricolo), 
        che fu edito ininterrottamente fino al 1917.
 
 
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        Tra il 1885 e il 1893 venne costruita la linea ferroviaria Ceva-Ormea. Inizialmente le proposte 
        dei parlamentari locali erano per una tratta che raggiungesse Oneglia e Porto Maurizio, 
        ma si affermarono le volontà dei politici che avevano optato per la Cuneo-Nizza.
 
 
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        Il 10 luglio 1887, nell’ambito del 1° Reggimento Alpini venne costituito il Battaglione 
        Alpini Ceva per effetto del cambio di denominazione del Battaglione Val Tanaro.
 
 
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        Nel 1892 venne costruita una palancola in ferro, quella che in breve sarebbe diventata per tutti 
        la famosa Passerella, dato che quelle in legno che dal borgo della Torretta consentivano 
        l’attraversamento del Tanaro, dando adito alla zona del Brolio, 
        venivano sistematicamente distrutte od addirittura asportate durante le piene 
        del fiume.
 
 
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        Il 14 ottobre 1893 si inaugurò la nuova sede della Società 
        Operaia nell’elegante palazzo fatto costruire a proprie spese e con il contributo di 
        diverse persone benemerite in contrada Franca (l’attuale via Pallavicino).
 
 
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        Il 28 ottobre 1894 si tenne la festa inaugurale dei busti marmorei a ricordo di Carlo Marenco 
        e Stefano Degioannini, posti sulla facciata del palazzo comunale, con i discorsi di rito del 
        professor Andea Musso e dell’avvocato Ferdinando Siccardi.
 
 
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        Il 18 agosto1896 fu collaudata la strada che da Ceva, fiancheggiando il corso del torrente Bovina, 
        arrivava a Paroldo e fu classificata provinciale il 27 luglio dell’anno successivo.
 
 
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        Nel mese di settembre 1896 si tennero solenni festeggiamenti per il centenario della 
        traslazione della statua della Madonna Addolorata dal Forte al Duomo.
 
 
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        Verso fine secolo la Chiesa doveva arginare il sempre maggior diffondersi di movimenti anticlericali, 
        fu questa una delle motivazioni per le quali il 7 novembre 1897, in aderenza agli inviti di papa 
        Leone XIII e con l’impulso dell’arciprete Francesco Mauro, venne fondato in Ceva il 
        Circolo Cattolico di San Giuseppe.
 
 
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        Una sera del mese di ottobre del 1898 venti lampadine illuminarono il centro di Ceva. 
        Finalmente dopo anni di discussioni, liti giudiziarie e dibattiti era giunta anche 
        qui l’energia elettrica.
 
 
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        Nello stesso anno era cominciato presso il tribunale di Mondovì il processo 
        contro una congrega di ladruncoli e truffatori, nota come Banda Maurina, che la leggenda 
        popolare non tardò a trasformare in un’accozzaglia di pericolosi 
        briganti ed assassini.
 
 
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        Il 17 settembre 1899,  nel piccolo parco antistante l’Asilo Umberto I, 
        venne inaugurato il monumento all’eroe della Guerra d’Abissinia Giuseppe Galliano, 
        opera in bronzo su un basamento di granito dello scultore torinese Giuseppe Cerrini. 
        Nel medesimo giorno si provvide ad intitolare allo stesso la Caserma degli alpini.
 
 
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        Nell’ultimo periodo dell’Ottocento Ceva non godette più di quella 
        discreta floridezza in campo economico che aveva contraddistinto gli ultimi decenni. 
        Questo soprattutto a causa della chiusura delle filande e di un’arretratezza 
        nell’agricoltura, dovuta alla difficoltà dell’introduzione di
        moderne tecniche di coltivazione stante la troppo minuta suddivisione delle proprietà
        terriere instauratasi dopo l’unità del regno. Conseguentemente cominciò
        a registrarsi anche qui in maniera abbastanza accentuata il fenomeno dell’emigrazione,
        in particolar modo verso la Francia e le due Americhe.