Cronologia della Storia di Ceva
			
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				| Vista del Forte di Ceva dalle alture verso Torresina. | 
			
			
				La zona di Ceva fu abitata nell'antichità da vari popoli e tribù: Liguri, Bagienni, Ingauni, Stazielli, 
				Galli Cispadani ecc.. L'assoggettamento ai Romani, avvenne sul principio del II secolo a. C. e di ciò si 
				hanno notizie da Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia (libro XI cap. 97) che parla del formaggio locale 
				(caseo ... Cebanum ... ovium maxime lactis ...) e da Columella che cita una particolare razza bovina 
				denominata Ceva (... regionis incolae Cevas appellant ...) nel De re rustica (libro VI cap. 24). 
				Ceva probabilmente non fu mai un Municipio Romano poiché gli abitanti di questi posti erano annoverati 
				nella tribù Publilia, sotto la giurisdizione di Albenga (Albingaunum). Dell'epoca romana di Ceva è 
				rimasto soltanto il nome, in quanto le invasioni  dei barbari e poi quelle dei saraceni hanno distrutto questa 
				zona ed ogni genere di vestigia e documenti scritti.
				Nell'XI secolo alcune carte degli Arduinici ascrivevano Ceva nella loro marca. Nel medioevo fu la sede di un marchesato 
				aleramico fondato da Anselmo II, figlio di Bonifacio del Vasto. Inizialmente i Ceva furono feudatari di oltre quaranta 
				borghi, molti dei quali con castello. Il marchesato ebbe i momenti più floridi dal XII al XIV secolo, periodo in 
				cui Giorgio II detto il Nano, dopo aver conquistato Mondovì per il Vescovo d'Asti, dovette cedergli il 
				marchesato stesso per poi esserne reinvestito. Ceva passò in seguito ai Visconti nel 1351 e agli Orléans 
				nel 1387. Dal 1422 fu assoggettata al dominio di Milano, a quello della Francia e poi della Spagna, finché nel 
				1559 i Savoia ne entrarono in possesso. I marchesi Ceva vennero destituiti e fu insignito del marchesato Giulio Cesare 
				Pallavicino.
				Ceva per molto tempo fu difesa da una Fortezza, baluardo militare dello Stato Sabaudo, in posizione strategica 
				sulla Rocca. 
				Durante la prima campagna napoleonica d'Italia, il generale Francesco Bruno di Tornaforte, governatore del Forte, 
				resistette alle milizie di Bonaparte e si arrese solo dopo l'armistizio di Cherasco, per effetto del quale anche 
				Ceva passava ai Francesi. Questi furono cacciati da un'insurrezione popolare nel maggio del 1799. Napoleone, 
				nel 1800, ordinò di distruggere il Forte per l'affronto subito.
				Alla fine dell'Ottocento il miglioramento del sistema stradale e la costruzione della rete ferroviaria favorirono 
				lo sviluppo industriale, in particolar modo nel settore tessile (Cotonificio, filande e filatoi). Purtroppo la Grande 
				Guerra portò ad una recessione del paese e molti cebani perirono al fronte. Durante la seconda guerra mondiale 
				Ceva fu occupata dai tedeschi e bombardata dagli alleati. Anche questo conflitto chiese molti sacrifici alla gente del 
				posto. Molti perirono o furono dispersi nella campagna di Russia. La Città seppe risollevarsi in fretta, con 
				un'accentuata espansione urbanistica al di fuori della zona un tempo delimitata dalla cinta muraria. Divenne un 
				polo artigianale, commerciale e di servizi di rilievo, incrementando la sua importanza come nodo del traffico viario di 
				collegamento con la Liguria. Nei secoli, a causa della sua posizione geografica, fu più volte oggetto di eventi 
				alluvionali. Nella memoria dei cittadini è ancora ben impressa l'alluvione del 1994 che arrecò 
				molti danni.
				Ceva, nonostante i periodi di difficoltà, le distruzioni ad opera dell'uomo o della natura e i 
				periodi di crisi economica che spingono i giovani a cercare lavoro fuori dai suoi confini, continua comunque 
				imperterrita ad andare avanti, accettando le sfide del XXI secolo.				
			
			
									
			Cronologia del XVII secolo
			
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					Nei primi anni del Seicento venne dato inizio ai lavori di costruzione del Duomo, sotto l’arcipretura di 
					don Travaglio.
 
 
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					Nel mese di gennaio del 1610, si registrò una nuova disastrosa alluvione del Tanaro che distrusse molti 
					borghi lungo tutto il suo corso provocando la morte di parecchie centinaia di persone e capi di bestiame.
 
 
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					Nel 1615 vennero apportati massicci interventi di rafforzamento alle strutture del Forte, a causa del 
					continuo stato di allerta che gravava su questi territori. In quel periodo il Ducato Sabaudo era coinvolto 
					nelle contese tra francesi e spagnoli e i ripetuti rovesciamenti sul fronte delle alleanze da parte del duca spesso 
					non giovavano alla stabilità interna del ducato stesso.
 
 
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					Nelle prime decadi del Seicento, oltre a guerre ed alluvioni a martoriare ulteriormente il Marchesato di Ceva 
					provvidero anche le pestilenze. Particolarmente cruenti furono i contagi del 1615, 1625 e 1630-31 (che 
					colpì anche gran parte dell’Italia e fu descritto dal Manzoni ne I Promessi Sposi).
 
 
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					In segno di ringraziamento per gli scampati pericoli e per acquisire divina tutela da epidemie, carestie ed altri 
					disastri troppo spesso ricorrenti, si registrarono in Ceva azioni di grande pio fervore. Oltre a continuare nella 
					grandiosa opera di costruzione della nuova parrocchiale, furono edificate la cappella di San Carlo nella Contrada 
					di Valgelata, quella dello Spirito Santo al Borgo Sottano e quella di Santa Libera al Borgo Torretta.
 
 
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					Il 25 settembre 1623, Carlo Emanuele I decretò la separazione del marchesato dalla provincia di 
					Mondovì riconoscendo a Ceva il titolo di città e costituendo in essa un mandamento con un 
					giudice d’Appello. Successivamente Carlo Emanuele II con varie patenti degli anni 1650, 1651 e 1658 
					la eresse a capoluogo di provincia, comprendente 41 comuni. Di questo grado la Città
					poté giovarsi fino al 1722.
 
 
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					Nel 1633, Agostino Reinero dei Poggi di Ceva fece donazione di tutti i suoi beni ai padri dell’Ordine 
					dei Predicatori del convento di San Vincenzo di Garessio, Domenicani, affinché fondassero in Ceva un 
					loro monastero e provvedessero all’insegnamento della Dottrina Cristiana, ma l’amministrazione 
					civica non si attivò per la parte che le competeva. Nel 1673, al famoso architetto Amedeo Castellamonte 
					venne commissionata una pianta del nuovo convento da erigersi all’inizio del Borgo Sottano tra la riva 
					del Castello ed il fiume Cevetta. Nonostante il possesso dei beni e i profitti conseguenti fossero confermati 
					da un atto di Maria Giovanna Battista di Nemours, duchessa di Savoia nel 1676, i Domenicani di Garessio non 
					riuscirono a fare il convento a Ceva a causa delle forti opposizioni degli altri ordini 
					presenti in città.
 
 
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					Nella prima metà del Seicento, era diffuso il fenomeno del banditismo. Nonostante gli interventi ducali 
					con le reiterate indicazioni ai governatori ed il prodigarsi di questi, assassinii, rapine e varie altre 
					forme di violenza di accozzaglie di briganti infestavano il territorio. Questo genere di misfatti non era 
					solo perpetrato da bande di malfattori della zona o dei domini confinanti, ma anche da soldataglia 
					mercenaria proveniente da lontano.
 
 
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					Nel 1640 il ducato era in piena guerra civile, dopo la morte di Vittorio Amedeo I, tra: i madamisti 
					(fazione filo-francese che parteggiava per il figlio del duca Carlo Emanuele II e per la vedova reggente 
					“madama reale” Maria Cristina) e i principisti (filo-spagnoli sostenitori dei fratelli 
					del duca defunto: il principe Tommaso e il cardinal Maurizio). Ceva, come quasi tutte le 
					località del Piemonte meridionale, era stata occupata dalle truppe di questi ultimi, 
					composte anche da soldati spagnoli.
 
 
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					Nel 1641, Ceva e il Forte sostennero un lungo assedio ad opera delle schiere dei madamisti, spalleggiati 
					da reparti francesi al comando del conte d’Harcourt. Contrastanti sono le indicazione degli storici 
					se la fortezza e la città furono presi o meno.
 Nel corso dell’assedio, il Forte subì comunque gravi danni e fu per effetto delle 
					devastazioni causate dalle mine dei francesi durante gli assalti, che alcuni anni dopo il capitano 
					ingegnere Carlo Morello, esperto di fortificazioni, suggerì varie opere di ampliamento e 
					consolidamento, soprattutto del corpo a corno verso i colli di Faja e Baglione.
 
 
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					Nel 1647, data la speciale venerazione che si prestava ad un’effige della Madonna con Bambino, 
					nei pressi della fontana detta della Gottrosa, la cui acqua pareva avere particolari 
					effetti curativi, si diede inizio ai lavori di edificazione della chiesa della Consolata, 
					a volte anche denominata Santuario.
 
 
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					Nel 1649, un altro duro assedio della Fortezza avvenne ad opera di un imponente contingente di 
					spagnoli comandati dal generale Luis Benavides de Carrillo marchese di Caracena, governatore di 
					Milano per il re di Spagna. In questo periodo i Savoia erano alleati dei francesi contro gli spagnoli. 
					Le milizie a difesa della città e del forte erano sotto la direzione rispettivamente del 
					governatore conte Alessandro Burgarello e del comandante conte Maurizio Santi. Le truppe spagnole 
					dopo vari attacchi al forte, prontamente respinti, rimasero a corto di viveri e furono costretti 
					a ritirarsi anche per il timore dell’arrivo dei rinforzi francesi.
 
 
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					Nel 1666, al Borgo Inferiore, presso la torre detta dei Guelfi non lontano dal ponte della Catalana, 
					suor Lucia da Parigi fondò il Monastero delle Visitandine, nel quale presero i voti diverse 
					giovani e vedove della città. Rimase aperto per oltre un secolo fino a che, essendosi 
					ridotto il numero delle monache presenti a poche unità, venne soppresso ed i suoi beni 
					devoluti all’ospedale degli infermi.
 
 
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					Nel 1674, morì don Vitichindo di Savoia, figlio illegittimo del duca Carlo Emanuele I, 
					benefattore di molte opere in città. Venne sepolto in una cripta sotto il 
					presbiterio del Duomo.
 
 
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					Nel 1672, con un’ordinanza del 21 giugno, il duca Carlo Emanuele II evidenziò la sua 
					determinazione nel voler portare a termine le opere da tempo intraprese per l’ampliamento ed 
					il consolidamento del Forte. Questi interventi si realizzarono nella loro completezza nei mesi successivi.
					
 
 
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					Nel medesimo anno Carlo Emanuele II ammassò a Ceva e alle Mollere le sue truppe, in funzione del 
					progetto di attaccare Genova per espandere i territori del Ducato. La contesa fu di breve durata e si 
					concluse con un nulla di fatto, anche per l’intervento pacificatore del re di Francia Luigi XIV, 
					ma confermò l’importanza strategica della piazza di Ceva per il controllo e l’
					organizzazione dei corpi di spedizione diretti verso la Riviera.
 
 
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					Il 18 settembre 1678, a seguito dell’invito del vescovo di Alba monsignor Vittorio Nicolino Della 
					Chiesa, i confratelli Umiliati e Disciplinanti firmarono l’atto di fusione delle due associazioni 
					laiche andando a costituire l’Arciconfraternita di Santa Maria e Santa Caterina.
 
 
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					Verso la fine del Seicento le terre del Marchesato furono parzialmente coinvolte nella Guerra del sale. 
					Ci furono delle insurrezioni dei territori delle valli Monregalesi contro il duca Vittorio Amedeo II 
					che li aveva privati delle secolari esenzioni di cui godevano dalle tasse sul sale, nell’obiettivo 
					di uniformare il sistema di governo su tutte le comunità dei suoi domini.