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Associazione Ceva nella Storia - 29. Industria e artigianato

29. Industria e artigianato     Torna all'indice


Se si esclude il comparto tessile, contraddistinto nell’Ottocento dalla presenza di alcune filande e filatoi che usufruivano per le loro lavorazioni delle estese coltivazioni del gelso e della canapa e pochissime altre piccole fabbriche (tre di stoviglie, una di cera ed una di cappelli) ed un paio di fornaci di laterizi attive nel medesimo secolo, Ceva non può evidenziare un’ampia storia nel settore industriale stante la scarsità di grossi insediamenti di cui si è dovuto prendere atto nel tempo. Esistono alcune motivazioni storico-geografiche per effetto delle quali la Città non è potuta diventare un polo industriale come invece è capitato a molte altre località della Provincia. Innanzitutto la conformazione collinare del territorio costituito per la maggior parte da declivi, poi l’aver optato per lungo tempo per una destinazione prevalentemente agricola dei territori pianeggianti della Piana e di san Bernardino, non ultima l’impropria collocazione della stazione e della rete ferroviaria in luoghi senza immediate adiacenze di aree atte a consentire la facile edificazione di strutture di grandi dimensioni.
Ciononostante, dopo i primi anni del Novecento, in cui erano fallite le trattative per l’impianto di un setificio, di una vetreria e di uno stabilimento metallurgico, nel 1908 in località Brolio si era inaugurato il nuovo cotonificio che, attraverso alcune crisi nel settore cotoniero, si sarebbe mantenuto comunque attivo fino al 1931, con grande beneficio per l’economia della città, impiegando pressoché costantemente circa 250 addetti. Nel medesimo periodo era continuata l’operatività di una filanda nel borgo della Torretta mentre negli altri settori le aziende ed i laboratori, pur in discreto numero, si caratterizzavano soltanto con la tipologia dell’impresa artigiana, con ciascuna una limitata consistenza di lavoranti. Tutte queste maestranze erano reperite per lo più in città ed era quindi scarso l’afflusso giornaliero dai paesi vicini.
Durante i primi anni del secondo conflitto mondiale i locali dell’ex cotonificio vennero utilizzati come magazzini militari e nel 1944 vi si installò l’industria Piaggio che in quel tempo produceva componenti per aerei della Regia Aeronautica e della Luftwaffe tedesca. Finita la guerra l’azienda mantenne attiva la sua sede di Ceva fino al 1951 producendo parti meccaniche dello scooter “Vespa” e meccanismi per la rete ferroviaria ed i treni. Al momento della chiusura però i dipendenti superavano di poco la cinquantina. Con l’avvento del cosiddetto “boom economico”, che in Italia distinse il periodo dalla fine degli anni Cinquanta all’inizio degli anni Settanta, anche in Ceva si poté riscontrare un discreto sviluppo dal punto di vista della piccola industria. Alla Torretta era in funzione un piccolo pastificio. Poi venne rioccupato ed ingrandito lo storico fabbricato del Brolio dove la ditta Vega, poi Ilsa, si dedicò alla produzione di un particolare tipo di piccole piastrelle in vetro-opale che durò fino al 1979, dopodiché lo stabilimento fu dismesso ed in seguito trasformato in centro di servizi polifunzionale. Progressivamente, dopo la riapertura della fabbrica del Brolio, in località Filatoio aprirono i battenti un liquorificio (Achino) poi trasferitosi a san Bernardino, un calzaturificio (CaGi poi Uvex-Cagi) ed un’industria di abbigliamento femminile (Adua Confezioni).
Altri piccoli insediamenti produttivi sorsero in via Madonna di Campagna (Silenziatori per auto) e sulla Piana (Portamantelli e tavoli da stiro) mentre si rinvigoriva sempre di più il settore edilizio con l’attività di molte imprese di costruzione, anche di consistenti dimensioni, a cui si associava come collaterale ed indotto il lavoro di artigiani del legno, del ferro e del marmo, di segherie, di officine meccaniche, di ditte impiantistiche varie. Alcuni macelli, un salumificio, impianti molitori, sartorie e camicerie, laboratori di produzione di infissi ed altri ancora completavano un insieme di attività produttive che però non si discostavano dalla connotazione tipicamente artigiana, contribuendo comunque ad un rallentamento del fenomeno migratorio verso le località più industrializzate, tant’è che in quel periodo la popolazione aumentò di alcune centinaia di residenti. Dopo un po’ di anni, però, progressivamente molte di queste aziende cessarono le proprie produzioni ed il processo di trasformazione per giungere ad uno stadio di tipo industriale, con conseguente forte inurbamento, non si verificò. L’economia locale dovette quindi continuare a basarsi su attività di tipo artigianale, sul commercio e sul settore terziario, anche se l’introduzione del piano per gli insediamenti produttivi, previsto dalla legge 865/1971, consentì la realizzazione di aree specializzate ad accogliere nuove strutture per una più estesa e razionale localizzazione di molte attività.
Non essendo mai stato intrapreso un vero e proprio studio sulla materia, il campo di ricerca rimane ampio ed articolato e le indagini possono essere condotte sia a livello globale che riferite ad ogni singolo settore. Interessante potrebbe poi risultare una analitica verifica delle prospettive future, con l’individuazione di eventuali nuove strategie occupazionali per una città ed un territorio che in tema di forza-lavoro possono ancora offrire molto sotto l’aspetto qualitativo e quantitativo.